
Tra le parole più ricorrenti utilizzate dai runner c’è, purtroppo, anche “fascite plantare”. Un disturbo che chiede molto tempo per essere curato e che rientra nell’ambito delle problematiche croniche. In occasione della Salomon Running di Milano, è stato presentato lo lo studio sulla fascite plantare condotto dall’Università Aldo Moro di Bari.
A commissionare la ricerca è stato Tendisulfur, sponsor della competizione che il 26 settembre scorso ha portato tra le strade meneghine lo spirito della corsa off road. Il motivo per cui fosse necessario un approfondimento sull’argomento è presto detto: la fascite plantare colpisce 1 sportivo su 3 almeno una volta nella vita.
Da parte sua, Tendisulfur ha voluto dimostrare, grazie alla ricerca commissionata, come gli ingredienti naturali presenti all’interno dell’integratore Tendisulfur Pro, associati al trattamento tradizionale con onde d’urto, possono aiutare a diminuire l’intensità del dolore, mantenendo i benefici protratti nel tempo.
Ne abbiamo parlato con Lorenzo Secondini, R&D e Quality Director di Uriach Italy.
Partiamo dalle basi: da dove nasce la necessità di uno studio su questa problematica?
La fascite rappresenta la terza problematica cui incorre un runner dopo la lesione al tendine di achille e la periostite tibiale. Secondo dati di letterature scientifica, a essere colpita da fascite è una percentuale che va dall’8 al 22% degli atleti, di cui l’11% è costituito da ultramaratoneti, riguarda sopratutto una popolazione compresa tra i 40 e i 70 anni in prevalenza donne. La notizia positiva è che questa problematica si risolve nell’80% dei casi, ma il restante progredisce in un problema cronico. Obbliga al riposo e sappiamo cosa vuol dire per un corridore fermare i suoi allenamenti.
Che cos’è la fascite plantare e da cosa deriva?
Sicuramente la voglia di movimento e sport all’aria aperta dell’ultimo periodo ha portato molte persone a fare movimento e questo è molto positivo. Il risvolto della medaglia è che molti si sono improvvisati runner senza una vera cognizione di causa volendo arrivare a fare una maratona e correndo senza criterio. Questo ha avuto un forte impatto a livello di incidenza di tendinite. Si manifesta sottoforma di un forte dolore al tallone, o meglio a livello del tendine che collega il tallone. La fascite porta alla rigidità del piede e costituisce un dolore persistente che si acuisce se premo sulla parte interessata. Si tratta di un dolore acuto e intenso e generalmente insorge al mattino ai primi passi, tende ad attenuarsi ma non scompare.
Quali le principali cause?
Diversi fattori: dal piede piatto, all’iperpronazione, dal sovrappeso all’età, ma anche la rigidità muscolare del polpaccio, le scarpe sbagliate o semplicemente un allenamento errato. Se il problema non si risolve, bisgona ricorre alla chirurgia.
Quindi come possiamo definirla?
La fascite plantare è riconducibile al gruppo delle patologie tendinee per le sue caratteristiche anatomopatologiche degenerative-infiammatorie. Fino a poco tempo fa era considerata solo un’infiammazione mentre oggi si parla di degenerazione: il tendine infatti subisce dei microtraumi facendo insorgere un problema degenerativo che non può essere risolto da creme al cortisone né da antiinfiammatori.

Lorenzo Secondini, R&D e Quality Director di Uriach Italy.
Cosa può essere utile nel trattamento?
L’uso di plantari o trattamenti fisioterapici. Anche lo stretching ha una sua importante funzione, ma se davvero si vuole risolvere il problema, si è visto che il trattamento fisico con onde d’urto focalizzate è efficace nella gestione delle tendiniti nel 60-90% dei casi. Gli integratori alimentari potrebbero facilitare la guarigione delle tendinopatie se combinati con la terapia ad onde d’urto. Per questo abbiamo chiesto uno studio all’Università di Bari.
In cosa consisteva questa ricerca?
Abbiamo progettato uno studio prospettico randomizzato in singolo cieco. Quarantaquattro pazienti con fascite plantare sono stati reclutati e randomizzati al gruppo A (18 pazienti) e al gruppo B (26 pazienti), dove sono stati trattati rispettivamente con le sole onde d’urto focalizzate e la combinazione di onde d’urto focalizzate e supplemento tendineo. Un miglioramento statisticamente significativo della remissione del dolore e del recupero funzionale si è verificato in entrambi i gruppi in tre momenti del monitoraggio (mesi 0, 3 e 6).
Quindi fino a qui, le onde d’urto hanno funzionato per tutti.
Esatto. Una volta finito il trattamento, abbiamo proseguito con loro: la nostra ricerca voleva vedere se, associando un nutraceutico che ha sia funzioni tenderignerative che antiinfiammatorie, si sarebbero ottenuti dei risultati diversi. Ovviamente i soggetti che facevano onde d’urto non sapevano che ci fosse anche un gruppo che assumeva Tendisulfur Pro. Il trattamento da onde d’urto dura un mese.
E cosa ne è emerso?
Partivano tutti dallo stesso livello di gravità, diciamo un 7.3 di una scala da 1 a 10. Dopo un mese di onde d’urto tutti miglioravano il loro stato: il gruppo che si sottoponeva solo allo onde (chiameremo gruppo A) passava da un livello 7.3 al 4.5. Il gruppo che integrava anche con Tendisulfur Pro (gruppo B) passava da 7.3 a 3.2.A distanza di sei mesi, il gruppo A tornava a peggiorare con effetto di ritorno. Il gruppo che dopo il trattamento ha continuato ad assumere 2 bustine di Tendisulfur Pro al giorno per 30 giorni poi una per 60 giorni, dunque un totale di 3 mesi di terapia, è passato da 3.2 a 2.8 in 6 mesi. Lo studio ha dunque mostrato che su tre diversi modelli di tendinopatia (epicondilite, tendinopatia achillea e cuffia dei rotatori) un trattamento combinato di supplemento tendineo (Tendisulfur Forte) e ESWT è più efficace sul dolore a un follow-up a 60 giorni rispetto al trattamento con onde d’urto solo.
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